Il Trust, il fisco e le “trappole” del codice civile

 

Abbiamo di recente pubblicato due articoli in materia di trust, in occasione della pluricitata vicenda del “testamento americano” di Pavarotti che istituiva un trust sui beni appartenenti al Tenore situati negli USA indicando come beneficiaria la seconda moglie. Ne riparliamo in occasione della recentissima novità che sta per investire la disciplina civilistica italiana con la proposta di inserimento (attraverso un emendamento alla Legge Finanziaria) all’interno del nostro codice civile, appunto di una regolamentazione dell’istituto di origine anglosassone: nell’emendamento alla Finanziaria in discussione la parola trust non viene menzionata, si fa riferimento alla “fiducia” (traduzione letterale del termine inglese). La notizia, riportata da “Il Sole 24 ore”, non può che trovare larghi consensi nelle schiere dei professionisti impegnati nella materia, visto che la sua regolamentazione fiscale avvenuta con la Finanziaria 2007 ne lasciava indefiniti i contorni giuridici. Rammentiamo brevemente la definizione di trust: si tratta di un rapporto giuridico fondato sul rapporto di fiducia tra disponente (settlor) e trustee. Il primo trasferisce per atto inter vivos o mortis causa, taluni beni o diritti a favore del secondo, il quale li amministra, con i diritti e i poteri di un vero e proprio proprietario, nell’interesse del beneficiario o per uno scopo prestabilito. L’introduzione del trust nella disciplina interna avviene in materia fiscale con la finanziaria 2007, attraverso la modifica dell’articolo 73 del testo unico delle imposte sui redditi (“TUIR”), con la quale viene incluso il trust tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES), riconoscendo quindi all’istituto una “cittadinanza”, seppur esclusivamente fiscale, all’interno del nostro ordinamento, assegnando quindi al medesimo un’autonoma soggettività tributaria. Ma rimandiamo a un prossimo articolo la trattazione della materia fiscale. LA NOVELLA CIVILISTICA DEL 2006 – Ad onor del vero una prima traccia di regolamentazione civilistica in Italia si è avuta con l’introduzione nel 2006 dell’art. 2645 ter del codice civile, avente ad oggetto la trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 1322 c.c., riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche. L’introduzione della norma siffatta ha diviso gli operatori del diritto sostanzialmente tra coloro che la consideravano come lo “sdoganamento” dell’istituto del trust in Italia, creando una nuova tipologia di atti ad effetti reali, definiti “atti di destinazione” e altri che, accedendo ad una diversa esegesi della norma, negavano al trust l’ingresso per questa via, atteso che evidenziavano nella formulazione della norma la carenza della caratteristica peculiare del trust – anche nel suo significato letterale – ovvero il rapporto fiduciario che deve instaurarsi tra disponente e trustee. Dubbi in merito alla creazione di un istituto nuovo sono sorti anche in considerazione della collocazione della norma in una parte del codice che non disciplina il diritto sostanziale (la norma infatti regola infatti la trascrizione di tali atti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione). Altra motivazione rilevante è la circostanza che gli atti di destinazione producono soltanto effetti ti tipo vincolativo , restando i beni segregati nella titolarità giuridica del conferente.A porre fine all’accesa querelle starebbe oggi la proposta di inserimento nel nostro ordinamento di una norma che disciplina espressamente il trust.

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