Italia del Censis, consumi in lenta ripresa

Anche quest’anno, puntuale e rigoroso, viene presentato il rapporto del CENSIS che si offre come un strumento di interpretazione della realtà socio economica italiana. Gli elementi messi in luce nella recente pubblicazione sono quelli connessi al rallentamento dell’economia, ai modelli sociali in evoluzione e allo scollamento dei processi politici. In realtà nel breve approfondimento che dedichiamo al Rapporto ci soffermeremo sia sull’analisi effettuata del comportamento delle nostre imprese e dei consumatori sia sul tema, da sempre affrontato sulle pagine di questa rubrica, della internazionalizzazione delle PMI italiane.

I CONSUMI – La domanda interna di beni resta fa registrare una crescita molto contenuta, infatti, dopo il tonfo del 2002, i consumi appaiono riprendersi, lentamente, anche sotto la spinta degli investimenti fatti dal lato dell’offerta: a tal proposito si pensi che negli ultimi tempi gli investimenti in pubblicità sono aumentati dopo l’arretramento del 2001 e 2002, proprio per tentare di smuovere la situazione di stagnazione venutasi a creare nei consumi (i settori che maggiormente hanno risentito del rallentamento dei consumi sono stati calzature, abbigliamento, tabacchi, mezzi di trasporto, alberghi, assicurazioni etc.). Molto interessante è vedere come sia sempre più forte la propensione all’investimento nel “mattone” – con una differenziazione tra Nord e Sud in termini di prezzi d’acquisto – non solo da parte del ceto intermedio (67%), ma anche da parte del ceto medio-basso (16,5%), dei nuclei familiari, non è particolarmente rilevante la quota di acquirenti composta da imprenditori, liberi professionisti, dirigenti. La corsa all’investimento in attività immobiliari viene a seguito della consistente smobilizzazione, avvenuta nel 2003, di titoli a breve termine, di titoli pubblici a medio-lungo termine, etc., da parte delle famiglie, la cui domanda di attività reali ha come scopo la dilatazione del proprio patrimonio. V’è comunque da segnalare che parte delle suddette smobilizzazioni è andata ad alimentare i consumi correnti.

IL LAVORO – Secondo i dati a disposizione, l’occupazione continua a crescere, i primi sei mesi del 2004 si chiudono con un + 0,7% rispetto allo stesso periodo del precedente anno e si registra un’ulteriore riduzione del tasso di disoccupazione che si attesta sul 7.9%. E’ certo che l’incremento di alcune tipologie di lavoro a basso contenuto professionale abbia contribuito a determinare questi dati, in altri termini, degli oltre 700.000 posti di lavoro prodottisi dal 2001 al 2003, circa 200.000 sono stati creati nel settore delle costruzioni e nell’ambito dei servizi domestici, quindi è ragionevole pensare che più che creazione di nuovi posti di lavoro si possa trattare di emersione di vecchio lavoro, grazie alla regolarizzazione degli immigrati. D’altra parte il Rapporto evidenzia come l’aumento del dato occupazionale sia stato generato dall’incremento delle attività immobiliari, professionali e di servizio avanzato alle imprese, cioè di tutti quei settori ad alto valore aggiunto che hanno prodotto 245.000 posti di lavoro, facendo registrare un incremento del 10% in soli due anni. Ciò malgrado la produttività ha continuato a diminuire, registrando proprio in quei comparti a bassa intensità di lavoro, il maggior decremento.

I SOGGETTI ECONOMICI – LE IMPRESE – Il tessuto imprenditoriale del nostro Paese resta caratterizzato dalla prevalenza di aziende che non raggiungono i dieci addetti (nel 2001 rappresentavano il 95% del totale). Caratteristica del decennio che va dal 1991 al 2001 è al terziarizzazione dell’economia, progressivamente il settore terziario, dei servizi, sta prendendo il posto delle attività prettamente industriali (i settori del terziario che hanno registrato incrementi notevoli per numero di imprese costituite sono quello della ricerca e sviluppo, attività immobiliari, informatica e attività connesse,attività professionali etc.). Rimane come costante la “polverizzazione” delle iniziative imprenditoriali, che rimangono spesso percorsi individuali rimesse ad iniziative di singoli imprenditori-professionisti. Il dibattito sulla necessità di accrescere gli investimenti in innovazione e ricerca nel nostro Paese è attualissimo, essendo la spesa rivolta al settore tra le più basse d’Europa, anche se negli ultimi tempi si registra un incremento nel settore da parte delle imprese che non superano i 49 addetti, in particolare, da un indagine condotta su un campione di PMI, è emerso che, nel settore delle biotecnologie (biotech), queste ultime hanno instaurato rapporti stabili con università e centri di ricerca, conducendo alla creazione di nuovi processi/prodotti e alla registrazione di brevetti.  

L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE PMI – Malgrado l’indice dell’export del prodotto italiano abbia subito delle contrazioni nel periodo che va dal 1995 al 2003, le modalità con cui si opera all’estero si è andato modificando, facendo registrare un incremento dei rapporti commerciali supportati dai contratti a lungo termine, delle iniziative condotte in partnership con soggetti esteri e degli investimenti diretti all’estero. Vediamo, quindi, come i processi di internazionalizzazione siano accompagnati e sostenuti sempre più da processi di integrazione (si va dai contratti di sub-fornitura, a quelli di joint-venture per finire al vero e proprio investimento diretto). Volendo citare dei dati, scopriamo che ben 5.039 imprese italiane detengono partecipazioni in imprese estere, tali partecipazioni risultano di controllo per 82,3% dei casi e paritarie o minoritarie per 23,5%. Tali rapporti con l’estero hanno contribuito a ridisegnare la organizzazione del lavoro interna alle imprese: si assiste ad una crescita di ruolo della funzione di direzione del personale e ad una maggiore attenzione al settore delle risorse umane (human resources), specie per la selezione e reclutamento del personale. Ancora basso, in ogni caso, appare, all’interno delle nostre aziende, lo sviluppo del team working (lavoro di gruppo) che interessa solo il 37% di lavoratori italiani contro il 75% del Regno Unito e il 65-70% di Irlanda, Olanda, Lussemburgo.

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