Fiscalità di vantaggio per il sud, quale futuro

 

La Commissione Europea nel documento di consultazione dal titolo “Piano di azione nel settore degli aiuti di Stato” emesso nel luglio 2005 ha evidenziato come sia effettivamente necessaria una riforma globale degli aiuti di Stato all’insegna di interventi meno numerosi, ma più mirati. Sulla scorta della nuova posizione della Commissione che prende le mosse dalla c.d. Strategia di Lisbona (nel marzo del 2000 si tenne a Lisbona un Consiglio Europeo straordinario dedicato ai temi economici e sociali dell'Unione Europea in cui fu  delineato uno sviluppo decennale dell’UE), la Commissione del Parlamento Europeo per gli affari economici e monetari ha formulato una proposta di risoluzione da sottoporre allo stesso Parlamento affinché gli Stati possano istituire, per periodi transitori e a determinate condizioni, strumenti di fiscalità di vantaggio.

LA CONCORRENZA – Abbiamo già detto nel precedente articolo che la fiscalità di vantaggio, in tutte le sue forme, rappresenta un’importante opportunità per le aree meno sviluppate di un Paese: esse sarebbero in grado garantire il proprio sviluppo economico ed occupazionale attraverso l’attrazione degli investimenti, nazionali ed esteri, in forza proprio di condizioni favorevoli, seppur adottate per periodi limitati nel tempo ma sufficienti a determinare un potenziamento delle zone interessate o dei soggetti beneficiari. Chiaramente questa opportunità non deve trasformarsi in un “subsidy shopping”, ossia non deve stimolare gli operatori dell’UE a fare incetta di sussidi tout court, ma deve rappresentare davvero un’occasione di sviluppo secondo gli obiettivi comuni dell’Unione Europea.  La regolamentazione del sistema degli aiuti di Stato, che si inserisce nella più ampia disciplina comunitaria della concorrenza, si rintraccia nel Trattato istitutivo della Comunità Europea: l’art. 87 del Trattato in linea di principio reputa incompatibili con il mercato comune gli aiuti concessi dagli Stati che, “favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”, ma a detto regime sono previste alcune deroghe, specificatamente previste, che si ricollegano proprio a situazioni contingenti (ad esempio aiuti di Stato destinati a zone depresse con elevato tasso di disoccupazione).

L’ANALISI DEL PASSATO – In realtà nelle discussioni che si sono intraprese a livello europeo non si registra la tendenza ad accrescere in termini di volume gli aiuti di Stato, anzi si propende verso una loro progressiva riduzione, anche sulla scorta dell’esperienza passata che ha visto gli aiuti di stato contribuire al calo della competitività e delle retribuzioni e, cosa grave, al ritardo nell’innovazione. A quest’ultimo riguardo infatti non si può non ricordare che il sostegno politico si è concentrato in passato sui settori già esistenti (cantieri navali, siderurgia, compagnie aeree, settore tessile), comprimendo così la possibilità di crescita di nuovi settori emergenti che non hanno avuto quello sviluppo che oggi avrebbe potuto trainare l’economia del vecchio continente. Un altro difetto del sistema degli aiuti di Stato riscontrato in passato è rappresentato dalla “dipendenza” che essi creano in coloro che li ricevono, che non si sentono incentivati a promuovere investimenti in ricerca e sviluppo ad esempio, ecco perché il sussidio – deve essere chiaro sin dall’inizio agli operatori –  deve avere carattere temporaneo. Altro inconveniente della disciplina sugli aiuti di Stato è costituito dagli aspetti procedurali, farraginosi allo stato attuale, e dal procedimento dei controlli: si dovrebbe puntare a creare una rete più fitta di organi di controllo (affidati alla corte dei conti di ciascun Paese) e un sistema che coordini le autorità competenti di ciascuno Stato membro per garantire un’applicazione coerente della disciplina.

LE LINEE DI INTERVENTO – Molteplici sono le linee di intervento su cui dovrebbe fondarsi l’azione di modifica dell’Unione Europea in materia di aiuti statali; in primo luogo viene messa in risalto l’importanza dell’innovazione nonché della ricerca e sviluppo per la competitività dell’Unione Europea, a tal fine si precisa che gli aiuti nel settore in parola non dovranno favorire gli operatori che hanno una posizione già consolidata, ma devono puntare a valorizzare le imprese innovative e di recente creazione nonché a promuovere il trasferimento di conoscenze dal mondo universitario a quello dell’impresa, favorendo i partenariati pubblico-privati. Altro obiettivo è costituito dalla promozione delle PMI attraverso il miglioramento del sistema dell’accesso al capitale di rischio, attraverso adeguati incentivi fiscali e con la previsione di esenzioni per categoria per gli aiuti su piccola scala destinati appunto alle piccole e medie imprese. Inoltre si auspica che la soglia de minimis che regolamenta il cumulo degli aiuti di stato fruibili da parte di un unico soggetto, venga raddoppiata (si passi cioè dagli attuali 100.000 euro a 200.000 euro). Infine, per ciò che in questa sede maggiormente interessa, viene auspicato un ripensamento sugli aiuti regionali nazionali che dovranno coordinarsi con la riforma dei fondi strutturali 2007-2013. Previa la distinzione, in base a criteri territoriali, tra aree dall’economia solida e aree colpite da difficoltà della riconversione industriale o con svantaggi territoriali permanenti, dovranno ammettersi gli aiuti di Stato qualora nessuna altra misura politica possa generare il medesimo valore aggiunto, essi dovranno essere finalizzati agli investimenti in infrastrutture e agli aiuti orizzontali nelle regioni svantaggiate dell’UE, compresa anche l’introduzione di condizioni fiscali vantaggiose per periodi transitori che comunque non superino i cinque anni. Dovranno essere individuate, mediante appositi studi, le tipologie di aiuti che garantiscano un impatto positivo ed un risultato duraturo in grado di non far crollare la struttura creata non appena le erogazioni o le agevolazioni vengano meno. Chiaramente gli aiuti non devono allontanare l’obiettivo di raggiungere la convergenza economica e sociale tra i paesi dell’Unione Europea, quindi devono impedirsi le distorsioni concorrenziali tra gli Stati nonché le de-localizzazioni all’interno dell’Unione che possano determinare la creazione di posti lavoro in una regione a detrimento di un'altra.

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