L’unione europea in difesa dei consumatori

Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea lo scorso 11 Giugno della “Direttiva sulle pratiche commerciali sleali” – 29/2005/CE – , l’Unione Europea ha dettato le regole per assicurare una disciplina uniforme in materia di pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, a tutela di entrambi. L’utilizzo, infatti, di pratiche commerciali leali in uno spazio senza frontiere – nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci e dei servizi, nonché la libertà di stabilimento – è indispensabile per promuovere lo sviluppo corretto delle attività transfrontaliere.  

L’ARMONIZZAZIONE – L’analisi dello scenario attuale ha condotto le Istituzioni europee a prendere atto che le leggi degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali sono caratterizzate da differenze notevoli che possono pertanto provocare sensibili distorsioni della concorrenza e costituire ostacoli al buon funzionamento del mercato interno. Portando ad esempio il settore della pubblicità, la direttiva n. 84/450/CEE, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, fissa criteri minimi di armonizzazione nella normativa in tema di pubblicità ingannevole (che costituisce una delle pratiche commerciali sleali), ma non si oppone al mantenimento e all’adozione da parte degli Stati Membri di disposizioni che garantiscano una tutela più ampia dei consumatori; la conseguenza diretta di tale direttiva è stata l’emanazione, da parte dei Paesi Membri, di disposizioni profondamente diverse tra loro. Tale situazione è fonte di incertezza e crea molti ostacoli sia alle imprese che ai consumatori. Per le prime diventa molto più oneroso l’esercizio dell’attività nel mercato interno, specialmente se intendono lanciare campagne promozionali, pubblicitarie o di marketing che devono pertanto soggiacere alle regole dei singoli Stati. Per i consumatori, invece, tali differenziazioni in termini di tutela creano incertezze circa i diritti di cui essi stessi godono e compromettono la loro fiducia nelle regole del mercato interno. Al fine di assicurare l’armonizzazione della materia, gli Stati membri dovranno adottare e pubblicare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie a conformarsi alle disposizioni della direttiva 29/2005/CE entro il 12 giugno 2007.

PRATICHE COMMERCIALI SLEALI – Venendo ad esaminare quali sono le pratiche commerciali definite sleali e quindi oggetto di divieto, apprendiamo che è definita sleale una pratica che “è contraria alle norme di diligenza professionale e è falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta ad un determinato gruppo di consumatori”. Quello che viene preso in considerazione nella direttiva è il grado di condizionamento che le pratiche commerciali poste in essere possono determinare nei comportamenti dei consumatori, ossia viene valutata l’idoneità ad incidere o l’incidenza vera e propria che la pratica commerciale ha sul comportamento del consumatore che assume “una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso”.

PRATICHE INGANNEVOLI E PRATICHE AGGRESSIVE – Sono considerate ingannevoli, e pertanto vietate, le pratiche che contengano informazioni false e siano pertanto non veritiere o in qualsiasi modo, anche nella loro presentazione complessiva, ingannino o possano ingannare il consumatore medio, così come sono considerate ingannevoli le omissioni relative ad informazioni rilevanti di cui il consumatore ha bisogno in un determinato contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale. Sono altresì ritenute ingannevoli, tra le altre, le pratiche commerciali che consistono in qualsivoglia attività di marketing del prodotto, compresa la pubblicità comparativa, che ingeneri confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e gli altri segni distintivi di un concorrente. E’ invece considerata aggressiva una pratica commerciale “che, nella fattispecie concreta…mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto, e, pertanto lo induca o sia idoneo ad indurlo ad assumere una decisione che non avrebbe altrimenti preso”. I casi di pratiche aggressive possono consistere, ad esempio, nello sfruttamento di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzare la decisione relativa al prodotto; così come anche nella minaccia di promuovere azioni legali quando tale azione non è giuridicamente ammessa. CASI – Citiamo alcune tipologie di pratiche commerciali che sono considerate, dalla direttiva in esame, in ogni caso sleali (e che sono state spesso oggetto di cronaca, anche in Italia, per le conseguenze negative verificatesi in danno dei consumatori).  – Esibire un marchio di fiducia, un marchio di qualità o un marchio equivalente senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione; –  Dichiarare falsamente che il prodotto sarà disponibile solo per un periodo limitato di tempo o che sarà disponibile solo a determinate condizioni per un periodo di tempo molto limitato, in modo da ottenere una decisione immediata, privando i consumatori della possibilità e del tempo sufficiente per prendere una decisione consapevole; – Avviare, gestire o promuovere un sistema di promozione a carattere piramidale nel quale un consumatore fornisce un contributo in cambio della possibilità di ricevere un corrispettivo derivante dall’entrata di altri consumatori del sistema piuttosto che dalla vendita o dal consumo di prodotti, etc. – Affermare falsamente che alcuni prodotti possono facilitare la vincita in giochi d’azzardo o che abbiano proprietà curative; etc. Infine si ricorda che saranno gli Stati membri a determinare le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in esecuzione della presente direttiva.

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