L’Italia dell’export e import

Il 2006 è stato un anno di grandi numeri: l’integrazione dei mercati ha consentito una crescita sostenuta, con il tasso di incremento del prodotto mondiale vicino al 4% e con un accrescimento pari al 9% del volume degli scambi di beni e servizi; a questi dati poi, per completare lo scenario, va aggiunto quello degli IDE – investimenti diretti esteri – il cui valore in dollari è cresciuto del 34% (quasi raggiungendo i livelli d’oro del 2000).

PERFORMANCE DELL’ITALIA – La crescita dell’Italia nel 2006 è stata più moderata rispetto a quella dei Paesi dell’area Euro, ma indubbiamente c’è stata: si è infatti registrata un’apprezzabile  ripresa delle esportazioni di merci (9% in valore e 2% in quantità – dati comunque non definitivi) – anche se continua l’indebolimento della quota dell’Italia sulle esportazioni mondiali e su quelle dell’area euro -, oltre a confermarsi in salita, come nel 2005, la quota dell’Italia nella esportazione dei servizi. Il complessivo ridimensionamento dell’Italia in termini di quote nel mercato internazionale, secondo l’analisi effettuata dall’Ice nel suo Rapporto, è da ricondursi, da un lato, al successo dei paesi emergenti nel settore del manifatturiero e al rincaro delle materie prime che dilata il valore delle esportazione dei paesi che le producono e, dall’altro, alla specializzazione della industria italiana ancora legata a settori e mercati che presentano una crescita della domanda lenta. In particolare, analizzate le singole regioni italiane, è apparsa deludente la capacità del Mezzogiorno di conquistare fette di mercato, ma anche di mantenerle, salvo alcune apprezzabili eccezioni: la Basilicata con il 55% di aumento delle esportazioni (grazie al settore automobilistico) e la Campania che ha superato la media nazionale. Per il resto si sono distinte, secondo un trend di crescita confermato anche nei primi mesi di quest’anno, l’Emilia Romagna, il Friuli Venezia Giulia e le Marche. La ricetta vincente è data dalla capacità di alcuni distretti industriali di “rinnovare le radici del loro successo, come quelli della meccanica e del tessile-abbigliamento in Lombardia e in Emilia Romagna, del cuoio-calzature nelle Marche e in Toscana"; altri invece stanno soffrendo maggiormente la concorrenza dei paesi emergenti, come l’abbigliamento in Abruzzo e, putroppo, i mobili in Puglia. L’Italia nel 2006 ha perso posizioni in quasi tutti i settori, ma quelli che hanno fatto registrare una notevole decremento sono appunto il tessile, cuoio-calzature, mobili e materiali per l’edilizia, mentre le poche variazioni positive sono state registrate nella siderurgia, nelle macchine industriali e negli autoveicoli. Se è stata debole la crescita delle esportazioni verso diversi paesi importanti, come Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Giappone, il Rapporto Ice sottolinea che un contributo importante alla ripresa delle esportazioni italiane è giunto dal mercato tedesco, che sembra aver ripreso la sua funzione di traino per tutta l’area europea. Per il resto i tassi di crescita più elevati del nostro export sono stati rilevati in Russia, in Cina, nei nuovi paesi membri UE e nei paesi in via di sviluppo produttori di materie prime (come ad esempio gli Emirati Arabi Uniti). Le nostre importazioni sono state influenzate dal rincaro delle materie prime, che ha dilatato le quote di mercato dell’Africa (in particolare della Libia), del Medio Oriente, della Russia e dell’America latina. È inoltre aumentata, sempre per le nostre importazioni, l’incidenza dell’Asia e dei nuovi paesi membri dell’Unione europea (soprattutto Polonia), aree in cui le nostre imprese hanno insediato proprie succursali di produzione (IDE), ma affronteremo questo aspetto, ovvero la capacità del nostro Paese di investire all’estero, nel prossimo articolo.

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