Gli eurogiudici contro gli accordi collettivi

La Corte di Giustizia Europea con sentenza resa il 23 marzo scorso, pronunciandosi sul caso Honyvem Informazioni Commerciali Srl contro Mariella De Zotti, ha statuito l’incompatibilità con la direttiva europea del sistema di calcolo della indennità di fine rapporto introdotto nel nostro ordinamento dagli accordi economici collettivi (AEC), la cui ultima versione sia del settore industria che del commercio risale al 2002. L’attuazione nel nostro Paese della direttiva comunitaria 86/653/CEE sugli agenti di commercio è avvenuta, per quanto in questa sede interessa, tramite la modifica – ex art. 4 del D.lgs. 303/1991 – dell’art. 1751 del codice civile che ha introdotto un nuovo metodo di calcolo rispetto a quello previgente; in realtà nel 1992 con la stipula degli accordi economici collettivi veniva aggirata la norma del codice civile come modificata dalla direttiva europea e si ritornava di fatto alla previgente disciplina (metodo mantenuto dagli AEC 2002). La disciplina degli AEC prevede una indennità calcolata sulle provvigioni ricevute dall’agente lungo tutta la durata del rapporto, mentre la disciplina codicistica che stabilisce l’ammontare massimo (un anno di provvigioni sulla media degli ultimi cinque anni a condizione che l’agente abbia procurato nuovi clienti).

IL CASO SOTTOPOSTO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA – La società Honyvem risolveva nel 1998 il contratto concluso con la sig.ra De Zotti. Con una disposizione del contratto si stabiliva che quest’ultimo fosse “sottoposto alle disposizioni del codice civile, alle leggi speciali riguardanti il mandato di agenzia, agli accordi economici collettivi riguardanti il settore commerciale». La Honyvem, in applicazione dell’AEC 1992, liquidava una certa somma a titolo di indennità di cessazione del rapporto. Ritenendo tale somma insufficiente, la sig.ra De Zotti propose ricorso dinanzi al Tribunale di Milano per ottenere la condanna della Honyvem a versarle una somma maggiore in applicazione dei criteri sanciti all’art. 1751 del codice civile. Respinto il ricorso, la sig.ra De Zotti impugnava la decisione dei giudici di prime cure dinanzi alla Corte d’appello di Milano che invece riconosceva all’interessata il diritto ad un’ulteriore somma in applicazione dell’art. 1751 c.c. La Honyvvem ha proposto quindi ricorso per Cassazione. Tale società ha sostenuto che il rinvio al principio dell’autonomia della volontà delle parti e, di conseguenza, agli accordi collettivi è espressamente autorizzato dall’art. 1751 c.c. nel caso in cui questi ultimi prevedano condizioni più favorevoli per l’agente commerciale rispetto a quelle risultanti dall’applicazione del regime previsto dalla normativa di legge; a tali considerazioni la sig.ra De Zotti, proponendo un ricorso in cassazione incidentale, ha replicato  che l’indennità di cessazione del rapporto ad essa dovuta, in applicazione dei criteri sanciti all’art. 1751 del codice civile, sarebbe dovuta essere di ammontare vicino a quello chiesto in primo grado, maggiore di quello liquidato dall’azienda. La Corte suprema di Cassazione, vista anche la mancanza di unanimità di dottrina e giurisprudenza sul punto, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia due questioni pregiudiziali interpretative della direttiva – la prima verte sulla possibilità di derogare ai criteri stabiliti dall’art. 17 della direttiva comunitaria che recita “Gli Stati membri prendono le misure necessarie per garantire all’agente commerciale, dopo l’estinzione del contratto, un’indennità in applicazione del paragrafo 2 (calcolo secondo modello tedesco) o la riparazione del danno subito in applicazione del paragrafo 3 (secondo il modello francese), e la seconda relativa al principio di equità.

LA DECISIONE DELLA CORTE – Secondo la giurisprudenza della Corte, il regime istituito dagli artt. 17‑19 della direttiva presenta, in particolare sotto il profilo della tutela dell’agente commerciale dopo l’estinzione del contratto, un carattere imperativo, pertanto una preponente non può eludere le dette disposizioni con il semplice espediente di una clausola sulla legge applicabile, senza che sia stata sollevata la questione se tale legge applicabile abbia operato o meno a scapito dell’agente commerciale. In altri termini una deroga alle disposizioni dell’art. 17 della direttiva può essere ammessa solo se, ex ante, è escluso che essa risulterà, alla cessazione del contratto, a detrimento dell’agente commerciale. Ciò si verificherebbe, per quanto riguarda l’accordo del 1992, nell’ipotesi in cui potesse essere dimostrato che l’applicazione di tale accordo non è mai sfavorevole all’agente commerciale, in quanto esso garantirebbe sistematicamente a quest’ultimo un’indennità superiore o almeno pari a quella che risulterebbe dall’applicazione dell’art. 17 della direttiva. Il solo fatto che il detto accordo possa essere favorevole all’agente commerciale nel caso in cui quest’ultimo abbia diritto, in applicazione dei criteri di cui all’art. 17, n. 2, della direttiva, solo ad un’indennità molto ridotta, o addirittura non abbia diritto ad alcuna indennità, non può bastare a dimostrare che esso non deroga alle disposizioni degli artt. 17 e 18 della direttiva a detrimento dell’agente commerciale. Quindi la Corte rileva che solo nell’ipotesi in cui l’accordo del 1992 desse la possibilità di cumulare, anche solo parzialmente, l’indennità calcolata secondo le disposizioni di tale accordo con l’indennità prevista dal regime istituito dalla direttiva esso potrebbe essere qualificato favorevole all’agente commerciale. Tale possibilità è tuttavia espressamente esclusa dalla dichiarazione a verbale delle parti firmatarie del detto accordo. Alla luce di tutte queste considerazioni, la Corte risolve la prima questione dichiarando che l’art. 19 della direttiva deve essere interpretato nel senso che l’indennità di cessazione del rapporto che risulta dall’applicazione dell’art. 17, n. 2, della direttiva non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati da quest’ultima disposizione a meno che non sia provato che l’applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all’agente commerciale un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione della detta disposizione.

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